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I ''Canti'' di Leopardi sono una tra le opere della letteratura italiana più studiate filologicamente e quella su cui si è fondata, con la prima edizione critica, a cura di Francesco Moroncini nel 1927, la filologia d’autore, ovvero la rappresentazione e lo studio delle varianti dei testi attribuibili agli autori e non alla tradizione. Questa particolarità è dovuta alla storia interna al libro dei ''Canti'', passato attraverso varie tappe, dalle canzoni patriottiche pubblicate a Roma nel 1818 ([[R18 Edizione critica|R18]]), all’opuscolo bolognese del 1820 ([[B20 Edizione critica|B20]]), dalle ''Canzoni'' ([[B24 Edizione critica | B24]]) ai ''Versi'' ([[B26 Edizione critica|B26]]) ― usciti entrambi sempre a Bologna ― attraverso la pubblicazione degli ''Idilli'' sul milanese «Nuovo Ricoglitore» ([[NR25 Edizione critica | Nr25 e [[NR26 Edizione critica | Nr26]]), fino all’edizione fiorentina dei ''Canti'' per Piatti ([[F31 Edizione critica | F31]]) e alla stampa napoletana per Starita del 1835 ([[Edizione Canti | N35]]), che, con correzioni e aggiunte ([[Edizione Canti | N35c]]), diviene il testo base per l’edizione postuma curata da Ranieri per Le Monnier (F45), in una progressiva acquisizione di novità testuali, corrispondenti a una nuova fase poetica dell’autore, ma senza abbandonare i testi del passato (le due canzoni patriottiche, ad esempio, poco variate rispetto alle prime stampe, conservano la posizione incipitaria fino alla fine).  
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I ''Canti'' di Leopardi sono una tra le opere della letteratura italiana più studiate filologicamente e quella su cui si è fondata, con la prima edizione critica, a cura di Francesco Moroncini nel 1927, la filologia d’autore, ovvero la rappresentazione e lo studio delle varianti dei testi attribuibili agli autori e non alla tradizione. Questa particolarità è dovuta alla storia interna al libro dei ''Canti'', passato attraverso varie tappe, dalle canzoni patriottiche pubblicate a Roma nel 1818 ([[R18 Edizione critica|R18]]), all’opuscolo bolognese del 1820 ([[B20 Edizione critica|B20]]), dalle ''Canzoni'' ([[B24 Edizione critica |B24]]) ai ''Versi'' ([[B26 Edizione critica|B26]]) ― usciti entrambi sempre a Bologna ― attraverso la pubblicazione degli ''Idilli'' sul milanese «Nuovo Ricoglitore» ([[NR25 Edizione critica |Nr25]] e [[NR26 Edizione critica |Nr26]]), fino all’edizione fiorentina dei ''Canti'' per Piatti ([[F31 Edizione critica |F31]]) e alla stampa napoletana per Starita del 1835 ([[Edizione Canti |N35]]), che, con correzioni e aggiunte ([[Edizione Canti |N35c]]), diviene il testo base per l’edizione postuma curata da Ranieri per Le Monnier (F45), in una progressiva acquisizione di novità testuali, corrispondenti a una nuova fase poetica dell’autore, ma senza abbandonare i testi del passato (le due canzoni patriottiche, ad esempio, poco variate rispetto alle prime stampe, conservano la posizione incipitaria fino alla fine).  
  
 
Ma la fortuna filologica dei ''Canti'' è dovuta anche al fatto che Leopardi ha conservato, perché li ha portati con sé fino a Napoli, i manoscritti delle belle copie dei suoi testi, ricchissimi di varianti e note linguistiche, apportate non solo in funzione delle stampe, ma anche in fasi successive, quando anche i corrispondenti testi erano stati già pubblicati. Questi manoscritti, conservati per lo più alla [http://digitale.bnnonline.it/index.php?it/119/giacomo-leopardicanti-dai-manoscritti-autografi-della-biblioteca-nazionale-di-napoli Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III] di Napoli (altri manoscritti si trovano invece a Recanati e Visso), divenuti presto celebri, sono considerati da Leopardi carte “vive”, luoghi di formazione della lingua e dello stile dei testi nel loro continuo avvicinamento a un’idea di poesia che muta nel tempo, pur mantenendo inalterate le caratteristiche originarie di “pellegrino” e “vago”, in continua contaminazione tra loro.
 
Ma la fortuna filologica dei ''Canti'' è dovuta anche al fatto che Leopardi ha conservato, perché li ha portati con sé fino a Napoli, i manoscritti delle belle copie dei suoi testi, ricchissimi di varianti e note linguistiche, apportate non solo in funzione delle stampe, ma anche in fasi successive, quando anche i corrispondenti testi erano stati già pubblicati. Questi manoscritti, conservati per lo più alla [http://digitale.bnnonline.it/index.php?it/119/giacomo-leopardicanti-dai-manoscritti-autografi-della-biblioteca-nazionale-di-napoli Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III] di Napoli (altri manoscritti si trovano invece a Recanati e Visso), divenuti presto celebri, sono considerati da Leopardi carte “vive”, luoghi di formazione della lingua e dello stile dei testi nel loro continuo avvicinamento a un’idea di poesia che muta nel tempo, pur mantenendo inalterate le caratteristiche originarie di “pellegrino” e “vago”, in continua contaminazione tra loro.
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Fondamentale, nella composizione dei testi, il dialogo tra le poesie e le note metatestuali, particolarmente fitte nei manoscritti delle ''Canzoni'', che certificano gli usi della lingua “pellegrina” con citazioni dagli autori della letteratura italiana che costituiscono per Leopardi un modello di grazia ed eleganza, anche se non accolti nel Vocabolario della Crusca. Fondativo di una critica delle varianti che avrebbe segnato la storia del Novecento è anche lo studio delle varianti dei canti pisano-recanatesi, catene sinonimiche di variazioni sul tema, spesso con recuperi a ritroso di varianti scartate, che introducono la poetica del frammento che sarà di Mallarmé e Valéry, della ricerca incessante di un valore poetico raggiunto nel processo stesso della poesia, nel suo farsi, e non solo nel suo risultato finale.  
 
Fondamentale, nella composizione dei testi, il dialogo tra le poesie e le note metatestuali, particolarmente fitte nei manoscritti delle ''Canzoni'', che certificano gli usi della lingua “pellegrina” con citazioni dagli autori della letteratura italiana che costituiscono per Leopardi un modello di grazia ed eleganza, anche se non accolti nel Vocabolario della Crusca. Fondativo di una critica delle varianti che avrebbe segnato la storia del Novecento è anche lo studio delle varianti dei canti pisano-recanatesi, catene sinonimiche di variazioni sul tema, spesso con recuperi a ritroso di varianti scartate, che introducono la poetica del frammento che sarà di Mallarmé e Valéry, della ricerca incessante di un valore poetico raggiunto nel processo stesso della poesia, nel suo farsi, e non solo nel suo risultato finale.  
  
È stato quindi inevitabile, per gli studiosi di Leopardi, partire dallo studio dei manoscritti per comprendere «quella sudatissima e minutissima perfezione nello scrivere», dichiarata al Giordani nel 1823, «senza la quale non mi curo di comporre». Dopo Moroncini, che sceglie di rappresentare l’ultima volontà dell’autore, affidata alla cosiddetta stampa “Starita corretta” ([[N35c Edizione critica | N35c]]), si sono susseguite altre tre edizioni critiche, a cura di Peruzzi (1984, ultima stampa, con la riproduzione cartacea dei manoscritti), De Robertis (1984, edizione delle sole stampe, con la prima stampa di ogni componimento e la riproduzione cartacea dei manoscritti), Gavazzeni (2006 e 2009 II ed., con le ''Poesie disperse''), che sceglie di pubblicare due edizioni distinte: quella dell’ultimo manoscritto a noi giunto, per lo studio delle varianti manoscritte, e quella dell’ultima stampa corretta, ovvero di [[Edizione Canti | N35c]], accompagnata da un DVD con riproduzione digitale di tutti i manoscritti e di tutte le stampe.  
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È stato quindi inevitabile, per gli studiosi di Leopardi, partire dallo studio dei manoscritti per comprendere «quella sudatissima e minutissima perfezione nello scrivere», dichiarata al Giordani nel 1823, «senza la quale non mi curo di comporre». Dopo Moroncini, che sceglie di rappresentare l’ultima volontà dell’autore, affidata alla cosiddetta stampa “Starita corretta” ([[N35c Edizione critica | N35c]]), si sono susseguite altre tre edizioni critiche, a cura di Peruzzi (1984, ultima stampa, con la riproduzione cartacea dei manoscritti), De Robertis (1984, edizione delle sole stampe, con la prima stampa di ogni componimento e la riproduzione cartacea dei manoscritti), Gavazzeni (2006 e 2009 II ed., con le ''Poesie disperse''), che sceglie di pubblicare due edizioni distinte: quella dell’ultimo manoscritto a noi giunto, per lo studio delle varianti manoscritte, e quella dell’ultima stampa corretta, ovvero di [[Edizione Canti |N35c]], accompagnata da un DVD con riproduzione digitale di tutti i manoscritti e di tutte le stampe.  
  
Dall’edizione Gavazzeni – i cui criteri di edizione si possono leggere [[qui]] – è tratta l’edizione digitale di '''Wiki Leopardi''' qui presentata, suddivisa in tre volumi:  
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Dall’edizione Gavazzeni – i cui criteri di edizione si possono leggere [[Media:Leopardi, Canti (Ed. Gavazzeni) Introduzione e Criteri di edizione.pdf|qui]] – è tratta l’edizione digitale di '''Wiki Leopardi''':  
  
  
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3. Edizione delle [[Edizione Poesie Disperse | '''''Poesie disperse''''']]
 
3. Edizione delle [[Edizione Poesie Disperse | '''''Poesie disperse''''']]
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[Paola Italia]

Versione attuale delle 19:37, 21 ott 2019

I Canti di Leopardi sono una tra le opere della letteratura italiana più studiate filologicamente e quella su cui si è fondata, con la prima edizione critica, a cura di Francesco Moroncini nel 1927, la filologia d’autore, ovvero la rappresentazione e lo studio delle varianti dei testi attribuibili agli autori e non alla tradizione. Questa particolarità è dovuta alla storia interna al libro dei Canti, passato attraverso varie tappe, dalle canzoni patriottiche pubblicate a Roma nel 1818 (R18), all’opuscolo bolognese del 1820 (B20), dalle Canzoni (B24) ai Versi (B26) ― usciti entrambi sempre a Bologna ― attraverso la pubblicazione degli Idilli sul milanese «Nuovo Ricoglitore» (Nr25 e Nr26), fino all’edizione fiorentina dei Canti per Piatti (F31) e alla stampa napoletana per Starita del 1835 (N35), che, con correzioni e aggiunte (N35c), diviene il testo base per l’edizione postuma curata da Ranieri per Le Monnier (F45), in una progressiva acquisizione di novità testuali, corrispondenti a una nuova fase poetica dell’autore, ma senza abbandonare i testi del passato (le due canzoni patriottiche, ad esempio, poco variate rispetto alle prime stampe, conservano la posizione incipitaria fino alla fine).

Ma la fortuna filologica dei Canti è dovuta anche al fatto che Leopardi ha conservato, perché li ha portati con sé fino a Napoli, i manoscritti delle belle copie dei suoi testi, ricchissimi di varianti e note linguistiche, apportate non solo in funzione delle stampe, ma anche in fasi successive, quando anche i corrispondenti testi erano stati già pubblicati. Questi manoscritti, conservati per lo più alla Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli (altri manoscritti si trovano invece a Recanati e Visso), divenuti presto celebri, sono considerati da Leopardi carte “vive”, luoghi di formazione della lingua e dello stile dei testi nel loro continuo avvicinamento a un’idea di poesia che muta nel tempo, pur mantenendo inalterate le caratteristiche originarie di “pellegrino” e “vago”, in continua contaminazione tra loro.

Fondamentale, nella composizione dei testi, il dialogo tra le poesie e le note metatestuali, particolarmente fitte nei manoscritti delle Canzoni, che certificano gli usi della lingua “pellegrina” con citazioni dagli autori della letteratura italiana che costituiscono per Leopardi un modello di grazia ed eleganza, anche se non accolti nel Vocabolario della Crusca. Fondativo di una critica delle varianti che avrebbe segnato la storia del Novecento è anche lo studio delle varianti dei canti pisano-recanatesi, catene sinonimiche di variazioni sul tema, spesso con recuperi a ritroso di varianti scartate, che introducono la poetica del frammento che sarà di Mallarmé e Valéry, della ricerca incessante di un valore poetico raggiunto nel processo stesso della poesia, nel suo farsi, e non solo nel suo risultato finale.

È stato quindi inevitabile, per gli studiosi di Leopardi, partire dallo studio dei manoscritti per comprendere «quella sudatissima e minutissima perfezione nello scrivere», dichiarata al Giordani nel 1823, «senza la quale non mi curo di comporre». Dopo Moroncini, che sceglie di rappresentare l’ultima volontà dell’autore, affidata alla cosiddetta stampa “Starita corretta” ( N35c), si sono susseguite altre tre edizioni critiche, a cura di Peruzzi (1984, ultima stampa, con la riproduzione cartacea dei manoscritti), De Robertis (1984, edizione delle sole stampe, con la prima stampa di ogni componimento e la riproduzione cartacea dei manoscritti), Gavazzeni (2006 e 2009 II ed., con le Poesie disperse), che sceglie di pubblicare due edizioni distinte: quella dell’ultimo manoscritto a noi giunto, per lo studio delle varianti manoscritte, e quella dell’ultima stampa corretta, ovvero di N35c, accompagnata da un DVD con riproduzione digitale di tutti i manoscritti e di tutte le stampe.

Dall’edizione Gavazzeni – i cui criteri di edizione si possono leggere qui – è tratta l’edizione digitale di Wiki Leopardi:


1. Edizione dei Canti

2. Edizione delle Appendici

3. Edizione delle Poesie disperse


[Paola Italia]