Avvicinamento della morte (1816-1818) Canto I
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Avvicinamento della morte
Canto I.
1 Spento il diurno raggio in Occidente
2 E queto ’l fumo sopra i tetti e queta
3 De’ cani era la voce e de la gente;
4 Quand’ i’ volto a cercare eccelsa meta
5 Mi ritrovai nel mezzo a una gran landa
6 Bella che vinto è ’ngegno di poeta.
7 Spandeva il suo chiaror per ogni banda
8 La sorella del sole e fea d’argento
9 Gli arbori ch’ a quel loco eran ghirlanda.
10 I ramuscei cantando ivano al vento
11 E in un coll’usignol che sempre piagne
12 Fra i tronchi un rivo fea dulce lamento.
13 Limpido il mar da lungi e le campagne
14 E le foreste e tutte ad una ad una
15 Le cime si scoprian de le montagne.
16 In queta ombra giacea la valle bruna
17 E a’ collicelli intorno rivestia
18 De’ raggi il dosso la candida luna.
19 Solo i’ tenea la taciturna via
20 E’l venticello che gli odori spande
21 Molle passar sul viso mi sentia
22 Se lieto fossi è van che tu dimande.
23 Grand’era il ben ch’aveva ed era il bene
24 Onde speme nutria di quel più grande.
25 Come fuggiste o belle ore serene!
26 La gioia al mondo ahi tanto poco dura
27 Che del ben non ci stanzia altro che spene.
28 Ecco imbrunir la notte e farsi scura
29 La gran faccia del ciel ch’era sì bella
30 E la dolcezza in cor farsi paura.
31 Un nugol torbo padre di procella
32 Sorgea di dietro ai monti e crescea tanto
33 Ch’omai non apparia luna nè stella.
34 Spiegarsi io lo vedea per ogni canto
35 E salir su per l’aria a poco a poco
36 E al ciel sopra mia testa farsi manto.
37 Veniva il lume ad ora ad or più fioco.
38 E tra le frasche si svegliava il vento
39 E gli arbori sbattea del dolce loco,
40 E tanto ingagliardiva a ogni momento
41 Che ne strideano i rami e svolazzava
42 Desto e cheto ogni augel per lo spavento.
43 E la nube crescendo in giù calava
44 Ver la marina sì che l’un suo lembo
45 Toccava i monti e l’altro il mar toccava.
46 E tutto a muta oscuritade in grembo
47 Qual senza lampa una riposta cella,
48 Cresceva il buio a l’ingrossar del nembo.
49 Già cominciava il suon de la procella
50 E di lontan s’udiva urlar la pioggia
51 Come lupi d’intorno a morta agnella.
52 Dentro le nubi in paurosa foggia
53 Guizzavan lampi e mi fean batter gli occhi
54 E n’era il terren tristo e l’aria roggia.
55 I’ sentia già disciormisi i ginocchi
56 Che brontolava il tuon simile al metro
57 Di fiume che da rotta alpe trabocchi.
58 Talora io mi sostava a l’aer tetro
59 Guardava spaurato e poi correa
60 Sì che i panni e le chiome ivano addietro.
61 E ’l duro vento col petto rompea
62 Che gocce fredde giù per l’aria nera
63 Soffiando, sopra ’l volto mi spignea.
64 E ’l tuon veniami incontro come fera
65 Rugghiando senza posa e ad ogni istante
66 Sormontavan la pioggia e la bufera.
67 Crosciare il prato, strepitar le piante
68 Il turbo aggirar polve e rami e sassi
69 Spignermi indietro e ricacciarmi avante.
70 U’ fossi io non sapea nè dove andassi
71 Copriami il viso e stretti i panni al seno
72 Gia pur tra ’l nembo accelerando i passi.
73 Ma ne gli occhi tuttor m’era il baleno
74 Ardendo sì ch’alfin da lo spavento
75 Ristetti e ’l cor mi cadde e venne meno
76 E mi rivolsi indietro e in quel momento
77 Si spense il lampo e tornò buia l’etra
78 Ed acquetossi il tuono e stette il vento.
79 Taceva il tutto ed i’ era di pietra
80 E sudava e tremava che la mente
81 Come ’l rimembra, per l’orror s’arretra.
82 E ’l palpitar si facea più frequente.
83 Quando com’astro che per l’aer caggia
84 Un lume scese e femmisi presente.
85 Splendeva in quella tenebria selvaggia
86 Sì chiaro che vincea vampa di foco
87 Qual fornace di notte in erma piaggia.
88 E splendendo cresceva a poco a poco
89 E ’n mezzo vi pareva uman sembiante
90 Vago sì ch’a ’l ritrar mio stile è roco.
91 Ed ’i tremava dal capo a le piante,
92 Ma pur dolcezza mi sentia nel petto
93 In levar gli occhi a quel che m’era innante.
94 Bianco vestia lo spirto benedetto
95 Raggiante come d’Espero la stella.
96 E avea ’l crin biondo e giovenil l’aspetto.
97 Io l’Angel son che tua natura abbella,
98 Tua guardia (e su i ginocchi allor cascai)
99 Cominciò quegli in sua santa favella.
100 La gran Signora da’ sereni rai
101 Mandommi ch’ha di te pietade in cielo.
102 Poco t’è lunge ’l dì che tu morrai.
103 I’ mi fei bianco in volto e venni gelo
104 Attonito rimasi e mi sentia
105 Ritrarsi ’l core ed arricciarsi ’l pelo.
106 E muto stetti e pur volea dir: Sia,
107 O Signor, quel ch’è fermo in tuo consiglio,
108 Ma voce de la strozza non uscia.
109 E sol potei chinar la fronte e ’l ciglio
110 E caddi al suol boccone: e quegli allora
111 Levommi a un tratto e fa cor, disse, o figlio.
112 Non ti dolga di tua poca dimora
113 In questa piaggia trista e non ti caglia
114 Ch’ancor del quarto lustro non se’ fora.
115 Or ti parrà da quanto aspra battaglia
116 Voler sia de l’Eterno che for esca:
117 E come umana gente si travaglia:
118 E quant’è van quel che le menti adesca,
119 Ed ammiranda vision vedrai
120 Acciò che di morir non ti rincresca.
121 E poi soggiunse: mira, ed i’ mirai.
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