Avvicinamento della morte (1816-1818) Canto II
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Canto II.
1 Parse di foco una vermiglia lista
2 A l’Orizzonte a galla sopra ’l mare
3 Ch’atava in quell’orror la dubbia vista.
4 Come sopita la procella, pare
5 Notturno sopra il mar lungo baleno
6 Che lambe l’acqua e fa l’ombre più rare.
7 O come vedi striscia di sereno
8 Sorrider dopo il turbo a la montagna.
9 Mentre la pioggia affievola e vien meno.
10 E turba mi parea diversa e magna
11 Passar non lunge innanzi a quel chiarore
12 Tutta intorno allagando la campagna.
13 E primier vidi sogghignando Amore
14 Svolazzar su la gente di suo regno
15 Tanta ch’e’ di quaggiù parea signore.
16 Iva misera turba che fu segno
17 A suoi strali roventi e parea tutta
18 Atteggiata di doglia e di disdegno.
19 Questi son que’ che ne la fera lutta
20 Di nostra vita vinse la gran possa
21 Di quel desio che pianto e morte frutta.
22 Quest’ è la turba che nel mondo ingrossa
23 Al volger d’ogn’ istante e non vien manco
24 Per volar d’ora o spalancar di fossa.
25 Fermo i’ guardava e quel che m’era al fianco
26 (E ’l potea ben senza mirarmi in viso)
27 Scorse ’l dubbiar de lo ’ntelletto stanco.
28 E disse: Questa è gente che di riso
29 Non ebbe un’ora in vostra vita lassa,
30 Pur sempre ebbe a cercarlo il pensier fiso.
31 E nutrì speme pazza e voglia bassa
32 Locando suo desire in cosa vana
33 Ed amò ben che quando giugne, passa.
34 Quel vergognoso là che s’allontana
35 È ’l Prence tristo per lo cui delitto
36 Tant’alta venne la virtù Romana.
37 Appio è quel là che conto a voi fe’ ’l dritto,
38 Pel cui malvagio amore un’altra volta
39 Roma fu lieta e suo tiranno afflitto.
40 Antonio è quel che lamentar s’ascolta
41 E di suo fato no ma par si lagne
42 Sol che sua donna scaltra gli sia tolta.
43 Vedi Parisse più vicin che piagne
44 Ilio in faville e la reggia diserta
45 E morti i frati e serve le compagne,
46 E d’erba e sassi la città coverta.
47 E fu cagion di tanta doglia Amore.
48 E vedi quel ch’ha sì gran piaga aperta.
49 È Turno e per Lavinia è ’l suo dolore
50 Per chi di morti fe’ sì gran catasta
51 Quel ch’al Tebro menò le Teucre prore.
52 Vedi Sanson colà che mal contrasta
53 A Dalila, e ’l gran Re ch’anco si dole
54 Che sapienza contr’amor non basta.
55 Mira quell’alme quivi che van sole
56 Co la faccia scarnata e ’l ciglio basso
57 E movon lente e senza far parole.
58 Vestali furo e sotto flebil sasso
59 Menolle dura legge e crudo foco
60 Di per loro a compor lo corpo lasso.
61 Vedi quanti ha malconcio ’l tristo gioco
62 E perduto ha ’l furor di voglia insana
63 Che tempo lungo a noverarli è poco.
64 Guata quel truce là ch’a la Cristiana
65 Fede aprì ’l lato e che nel suol Britanno
66 Di giusto sangue fe’ tanta fontana.
67 E per amor, di Re venne tiranno
68 E mandò giù tant’alme a l’aria bruna
69 Sì ch’ancor dura e sarà eterno ’l danno;
70 Per chi d’Anglia tal frotta si rauna
71 E mugolando s’addossa e si preme
72 Qual sozzo gregge a la ’nfernal laguna.
73 D’infinita sciaura amor fu seme
74 Che non sua sol, ma van mill’alme ogn’ora
75 Per lui ’ve ’l tristo eternamente freme.
76 O miser’Anglia che tanta dimora
77 Fai ne l’errore e non ti basta ’l lume
78 De la mental tua lampa a uscirne fora.
79 E già tutto conosci forchè ’l nume
80 E cieco nasce e non vi pensa e more
81 Tuo popol gramo vinto dal costume.
82 Poi sospirando disse: or vedi amore,
83 Com’è crudele al mondo, e com’è duro
84 Far ch’e’ non giunga a palpeggiarti ’l core.
85 Sapienza non è sì saldo muro
86 Che nol dirompa forza di suo strale
87 E chi men l’ha provato è men sicuro.
88 E se l’alma infermò di tanto male,
89 E sente l’aspra punta, ov’è la pace?
90 E se pace non è, viver che vale?
91 Sì come chi per poi soggiunger tace
92 Quel tacque ed i’ mi vidi un mesto avante,
93 Giovane e tal che d’ello anco mi spiace.
94 Tanto mi vinse suo flebil sembiante
95 Che l’Angel di suo nome interrogai
96 Benchè mio dir sonava ancor tremante.
97 E quel rispose: da sua bocca udrai
98 Contar suo fallo e di suo fallo i danni
99 E l’approcciamo ed i’ l’addimandai.
100 Ugo fui detto e caddi in miei verd’anni
101 E me Ferrara, tra i suoi forti avria
102 Se non fosse ’l mio padre infra’ tiranni.
103 Disse e ristette e quasi si pentia
104 Poi seguitò: mi trasse al punto estremo
105 Non so se di mio fato o colpa mia.
106 I’ membro l’ora ed in membrarla fremo
107 Che prima vidi le sembianze ladre
108 Per ch’in eterno tra quest’alme gemo.
109 Vidi la donna misera che ’l padre
110 Erasi aggiunta, ma che ’l tristo letto
111 Non fe’ bello di prole e non fu madre.
112 E cura inquieta mi sentii nel petto
113 Che parea dolce ma la voglia rea
114 Vanezza e tedio femmi ogni diletto.
115 I’ fea contesa e forse ch’i’ vincea
116 Ma un dì fui sol con quella in muto loco
117 E bramava ir lontano e non volea.
118 E palpitava e ’l volto era di foco
119 E al fine un punto fu che ’l cor non resse,
120 Tanto ch’i’ dissi: t’amo, e ’l dir fu roco.
121 Vergogna allor sul ciglio mi s’impresse,
122 E la donna arrossar vidi e gir via
123 Senza far motto, come lo sapesse.
124 Poi nulla i’ fei ma tanto più che pria
125 Divampò ’l foco al soffio di speranza
126 Ch’arder le vene e i polsi i’ mi sentia.
127 Allor che tratto di mia queta stanza
128 Fui d’armato drappello in su la sera
129 Con ferità ch’ogni mio dir avanza
130 E dentro muta torre in prigion nera
131 Chiuso che ’ndanno il genitor chiamava,
132 Immobil tra catene come fera.
133 Stupido e sol rimasi in quella cava
134 Ricercando mia colpa ed oh dolore
135 In ricordarmi di mia voglia prava!
136 Era giunta la notte a le tard’ore
137 Che tace e per le vie gente non passa
138 Quando fioco romor sentii di fore.
139 (O Italia mia dolente o patria lassa,
140 Che quant’alta a’ bei giorni tanto cruda
141 Fosti a’ più neri, e tanto ora se’ bassa,
142 Ben sei di luce muta e d’onor nuda
143 Che tigre fosti quando era tua possa
144 E or se’ pietosa ch’uom per te non suda!)
145 Orrendo un gel mi sdrucciolò per l’ossa
146 E mancar sentii ’l fiato e ’l cor serrarse
147 Come a l’uscio udii dar la prima scossa.
148 Sonaro i ferri al suo dischiavacciarse
149 E seguì di persona un calpestio,
150 E di lontana fiamma un chiaror parse.
151 Come chi vide ’l lampo che fuggio
152 Aspetta lo fragore e sta sospeso,
153 Tal senza batter ciglio mi stett’io.
154 E ’l genitore entrar che tenea steso
155 Il destro braccio e ne la man mirai
156 Un ferro e ’n la sinistra un torchio acceso.
157 Morta è disse tua druda e tu morrai.
158 Su le ginocchia i’ caddi in quel momento,
159 Piagneva e volea dir: mio padre errai.
160 Ma la punta a mia gola e’ ficcò drento,
161 E cascai co la bocca in su rivolta,
162 E ’l vital foco tutto non fu spento.
163 Sembrommi che l’acciaro un’altra volta
164 Alzasse e di vibrarlo stesse in forse;
165 Poscia com’uom che di lontano ascolta
166 L’udii cercar de l’uscio; indi ritorse
167 Il passo e ’n cor piantommi e lasciò ’l brando,
168 Sì che per l’ossa un brivido mi corse
169 E svolazzò lo spirto sospirando.
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