NR25 Annotazioni p. 664

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Casa in altro luogo (1): Poco il mondo già mai t’infuse o
tinse, Trifon, nell’atro suo limo terreno. Ho anche un esem-
pio simile a questi del Casa nell’Oreficeria di Benvenuto Cel-
lini (2), ma non lo tocco per rispetto d’una lordura che gli
è appiccata e non va via.
        Ivi, 18. Evviva evviva.
  L’acclamazione Viva è portata nel Vocabolario della Crusca,
ma non evviva. E ciò non ostante io credo che tutta l’Italia,
quando fa plauso, dica piuttosto evviva che viva; e quello
non è vocabolo forestiero, ma tutto quanto nostrale, e com-
posto, come sono infiniti altri, d’una particella o vogliamo
interiezione italiana, e d’una parola italiana, a cui l’accento
della detta particella o interiezione monosillaba raddoppia la
prima consonante. Questo è quanto alla purità della voce.
Quanto alla convenienza, potranno essere alcuni che non lo-
dino l’uso di questa parola in un poema lirico. Io non ho
animo d’entrare in quello che tocca alla ragion poetica o dello
stile o dei sentimenti di queste Canzoni, perchè la povera
poesia mi par degna che, se non altro, se l’abbia questo ri-
spetto di farla franca dalle chiose. E però taccio che laddove
s’ha da esprimere la somma veemenza di qualsivoglia affetto,
i vocaboli o modi volgari e correnti, non dico hanno luogo,
ma, quando sieno adoperati con giudizio, stanno molto me-
glio dei nobili e sontuosi, e danno molta più forza all’imita-
zione. Passo eziandio che in tali occorrenze i principali maestri
(fossero poeti o prosatori) costumarono di scendere dignito-
samente dalla stessa dignità, volendo accostarsi più che potes-
sero alla natura, la quale non sa e non vuole stare nè sul
grave nè sull’attillato quando è stretta dalla passione. E final-
mente non voglio dire che se cercherai le Poetiche e Rettori-
che antiche o moderne, troverai questa pratica, non solamente
concessa nè commendata, ma numerata fra gli accorgimenti
necessari al buono scrittore. Lascio tutto questo, e metto mano
all’arme fatata dell’esempio. Che cosa pensiamo noi che fosse
quell’io che troviamo in Orazio due volte nell’Ode seconda
del quarto libro (3), e due nella nona dell’Epodo (4)? Parola,




(1) Son. 45.
(2) Cap. 7. Milano 1811, p. 95.
(3) V. 49, 50.
(4) V. 21, 23.